L’Intervista
C.V. – Buongiorno Iacopo, da pochi giorni è aperta la tua mostra fotografica “Di pietra e acqua”. Parlaci di questa tua nuova avventura artistica.
I.G. – La mostra che è organizzata e curata da Bruto Pomodoro è stata inaugurata il 22 gennaio scorso nei locali della galleria d’arte “Engel” in P.zza Campioni a Viareggio, la mia città. Vi sono esposte 11 fotografie che rappresentano una fase nuova, una nova partenza nella mia ricerca artistica. Ho volutamente abbandonato, in questo periodo, la focalizzazione sulla figura umana, che in passato era la protagonista dei miei scatti.
C.V. – A cosa ti sei dedicato con queste nuove fotografie?
I.G. – In questo nuovo ciclo di lavori l’attenzione è tutta rivolta al paesaggio. Ho sentito la necessità di sperimentare una diversa sintesi stilistica e di individuare nuove forme espressive. Ho scoperto, così, la possibilità di narrare il rapporto tra la pietra e l’acqua. Le interrelazioni e metamorfosi tra questi due elementi naturali consentono esplorazioni sulle interrelazioni tra loro, ma anche sugli interventi antropici sui blocchi di calcarinite che determinano, qui come altrove, architetture spontanee.
C.V. – Il curatore della mostra, Bruto Pomodoro, a proposito della tua ricerca scrive il tuo rapporto col paesaggio circostante ti “discosta da quel tipo di relazione estetica che spesso connota il lavoro di altri tuoi colleghi, da Vieri Bottazzini a Jack Curran, che attraverso il loro lavoro registrano ombre, luci e colori di scenari naturali, fissandoli (o meglio documentandoli) in quell’attimo preciso dello scatto che li blocca in un loop temporale che non consente mutazioni di sorta.” e aggiunge che nelle tue foto “si avverte invece la necessità di un racconto che va al di là del singolo scatto: il rapporto occhio-fotocamera non è quindi puramente estetico ma si arricchisce di un valore aggiunto che raramente si ritrova nella fotografia paesaggistica.” Cosa ne pensi?
I.G. – Dico che sono molto grato a Bruto per ciò che ha scritto e per come ha svolto il suo lavoro di curatore della mostra. La nostra collaborazione è totale e proficua. Posso soltanto aggiungere che questa nuova fase della mia ricerca artistica è, per me molto stimolante e che il tentativo di rendere una plastica vitalità a ciò che è frutto di metamorfismi che si susseguono nelle diverse ere geologiche è straordinariamente stimolante. L’acqua erode la pietra e la pietra esercita una coriacea resistenza all’acqua: come due forze naturali in perenne conflitto dinamico fra loro.
Non voglio certo rubare il mestiere ai geologi che sono capaci di leggere l’ambiente attraverso lo studio dei diversi strati sedimentari, ma la trasposizione fotografica dell’azione erosiva dell’acqua che con la sua invisibile forza livella qualsiasi panorama non è poi così lontana dalla rappresentazione della complessità dei rapporti che condizionano ed “erodono” la nostra vita umana.
C.V. – Non è un caso, dunque, che tu introduca nei tuoi scatti oltre che l’azione degli elementi naturali anche l’azione del lavoro umano che modifica l’ambiente che ci circonda.
I.G.– Non è un caso, ma è ciò che ci propone la realtà. L’uomo, come l’acqua, erode la pietra e condizione e modifica il paesaggio. Nelle tre fotografie dove interviene il lavoro umano sulla pietra: The arch, Water basin e Human cut si rivelano paesaggi antropici connotati da curiose e inquietanti architetture che non sono meno affascinanti o simboliche di quelle create dall’acqua.
C.V. – Perché hai scelto di fare foto in bianco e nero?
I.G. – Il bianco e nero, come i tempi lunghi, è funzionale alla lettura delle opere: il bianco e nero riporta lo spettatore alla drammaticità alla potenza inesorabile e antica delle forze della natura e non concede vie di fuga e distrazioni all’occhio dell’osservatore allo spettacolo rappresentato.
Il colore è un mezzo che in questo contesto avrebbe potuto ingannare e confondere l’osservatore. Volevo evitare il rischio di creare questo diversivo estetico che avrebbe sicuramente danneggiato il patos del mio lavoro.
C.V. – In tutto questo l’elemento dominante, la forza vincente sembra essere quella dell’acqua.
I.G. – Niente resiste alla forza dell’elemento fluido, ma nei tre scatti intitolati Fluidity, il movimento acqueo sulle rocce circostanti è morbido e il paesaggio appare pacificato, quasi che la forza delle acque, esaurito il suo compito distruttivo, si conceda un attimo di pausa.
C.V. – Scrive ancora Bruto Pomodoro che “A corollario di questo gruppo di nove immagini, come prodromo ed epilogo di questo racconto fotografico, aprono e chiudono la mostra le due opere Rock’s gash e Waves.”
I.G. – Si Onde e Squarcio nelle Rocce: Waves e Rock’s gash sono la liquidità e la durezza rapportati alle dinamiche del tempo e del movimento in perpetua azione di trasformazione della realtà, secondo la massima eraclitea del panta rei.
C.V. – Caro Iacopo, concludiamo questo interessante dialogo citando di nuovo il tuo curatore che ci invita, in attesa di tue future narrazioni del paesaggio a rimanere “oggi affascinati dalla rappresentazione artistica di forze dirompenti del nostro meraviglioso universo naturale.”