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Condividiamo da lanuovaecologia.it
Presentato il piano per sostenere la produzione industriale libera da fonti fossili in Ue. Legambiente: “Un’opportunità per accelerare una giusta transizione verso la neutralità climatica. No alla deregulation prevista nel primo pacchetto Omnibus, rappresenta un preoccupante passo indietro rispetto agli obiettivi del Green Deal”
La Commissione europea ha presentato il piano Clean industial deal per semplificare le norme sugli aiuti di Stato per accelerare la transizione verso le energie pulite, promuovere la decarbonizzazione dell’industria e garantire una capacità manifatturiera adeguata per le tecnologie verdi in Europa. Il piano mobiliterà nel breve termine oltre 100 miliardi di euro per sostenere la produzione industriale pulita nell’Ue, di cui un’ulteriore garanzia di 1 miliardo di euro nell’ambito dell’attuale bilancio comune. Il Clean industrial deal prevede anche una strategia di semplificazione, che prende il via con il primo di una serie di pacchetti “Omnibus” pensati per ridurre la burocrazia.
«L’adozione del Clean industrial deal – commenta Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – rappresenta un’opportunità da non sprecare per mettere in campo un’ambiziosa politica industriale, strettamente integrata con gli obiettivi del Green deal, in grado di accelerare una giusta transizione verso la neutralità climatica e favorire la competitività dell’economia e delle imprese europee. E affermare così la leadership europea nel mercato globale delle tecnologie pulite, che l’Agenzia internazionale dell’energia (Iea) valuta in almeno 2mila miliardi di dollari entro il 2035. Solo in questo modo sarà possibile accelerare la transizione verso un’economia europea libera da fonti fossili, circolare e a zero emissioni. Ben venga perciò il contributo del Piano d’azione per l’energia a prezzi accessibili, che deve mettere in campo misure ambiziose non solo per le rinnovabili ma anche per l’efficienza energetica. A condizione, però, che non si ceda alle sirene della deregulation come invece sta purtroppo accadendo per il primo pacchetto Omnibus di semplificazione, riguardante la rendicontazione di sostenibilità delle imprese, del loro dovere di diligenza ai fini della sostenibilità e della tassonomia ossia del regolamento sulla classificazione comune delle attività economiche sostenibili. Si tratta di una vera e propria deregulation dell’attuale normativa sulla finanza sostenibile. Un preoccupante passo indietro che non aiuta la competitività delle imprese europee ed ostacola la promozione di pratiche commerciali responsabili, di protezione dei diritti umani e del lavoro, dell’ambiente, e di rafforzamento della capacità produttiva delle filiere nazionali e internazionali secondo i più elevati standard di qualità sociale e ambientale».
Per Legambiente è preoccupante la grande enfasi della Commissione sulla necessità di rafforzare la competitività attraverso la semplificazione legislativa. Senza dubbio la semplificazione delle procedure può migliorare l’efficacia di direttive e regolamenti, ma vi è il grande rischio di una deregulation ambientale e sociale se si cede alle continue e crescenti pressioni della componente più miope e conservatrice dell’industria europea.
«La deregulation – spiega Mauro Albrizio, responsabile ufficio europeo di Legambiente – non è la risposta che serve per accrescere la competitività dell’economia e delle imprese europee. Come evidenzia la stessa Commissione, lungi dall’ostacolare la crescita economica, l’applicazione e il rispetto delle leggi ambientali possono far risparmiare all’economia europea circa 55 miliardi di euro annui in costi connessi all’ambiente ed alla salute. Senza dimenticare che le sfide che alcuni settori industriali devono affrontare, per recuperare la competitività perduta, non sono dovute a un’eccessiva regolamentazione, ma piuttosto al fatto che governi e imprese non hanno saputo pianificare, investire e adattarsi alla necessaria transizione per decarbonizzare l’economia europea. Ad esempio, la crisi del l’industria automobilistica europea non è dovuta a troppe regole, ma alla mancanza di innovazione e visione, che ha determinato il preoccupante ritardo nel passaggio ai veicoli elettrici. Le imprese automobilistiche hanno confidato sulla forza della loro lobby per mantenere lo status quo senza concentrarsi sul futuro, cedendo così il passo alla concorrenza, soprattutto cinese».
Il Clean industrial deal deve servire a superare, finalmente, questo modello novecentesco, ed essere invece il motore di un’ambiziosa politica industriale in grado di accelerare la decarbonizzazione dell’economia europea, investendo nell’industria verde del futuro. Con l’indispensabile sostegno alle imprese condizionato al pieno rispetto di rigorosi standard ambientali e sociali, destinando adeguate risorse finanziarie per garantire una giusta transizione nei territori interessati dalla necessaria riconversione industriale. Purtroppo, nelle misure riguardanti gli aiuti di stato a sostegno del Clean industrial deal, accanto agli importanti aiuti a sostegno delle rinnovabili si continua ancora a prevedere un ingiustificato spreco di limitate risorse finanziarie a sostegno di CCS, idrogeno low-carbon e gas fossile. Ben venga, invece, l’impegno della Commissione a proporre nei prossimi mesi risorse finanziare per almeno 100 miliardi in grado di contribuire ad un taglio di emissioni del 30%.