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di Branko Marcetic
Non fatevi ingannare dalle apparenze: la nuova presidenza Usa si apre con diversi problemi interni. Dal conflitto con Musk ai disastri naturali, fino alla politica estera tutta da realizzare e al rapporto con la working class
Come promesso, Donald Trump ha inaugurato la sua presidenza con una dimostrazione di «velocità e forza». Citando quello che ha definito un mandato «massiccio», caratterizzato da una «potente vittoria in tutti e sette gli stati indecisi e del voto popolare», Trump ha lanciato quella che i suoi alleati hanno definito una strategia di «shock and awe», alludendo alla estesa campagna di bombardamenti che aprì la strada all’invasione statunitense dell’Iraq. Trump ha diramato decine di ordini esecutivi su tutto, dal ritiro degli Stati uniti dagli accordi globali e dall’annullamento delle direttive dell’era Biden, alla preparazione del terreno per una purga su larga scala della forza lavoro federale per arrivare ai grandi temi conservatori come la cittadinanza per diritto di nascita e l’energia eolica.
In breve, sembra che i timori peggiori su cosa può significare una seconda presidenza di Trump si stiano avverando: il rullo compressore di una destra inarrestabile che si lascerà alle spalle un paese molto diverso, immerso nelle rovine di ciò che ha distrutto. Questo è certamente ciò che il presidente vorrebbe far credere alla sua demoralizzata opposizione. Ma nonostante tutte le chiacchiere, la presidenza di Trump e il suo progetto politico sono più fragili di quanto entrambe le parti credano.
Problemi nella coalizione
Per prima cosa, le crepe stanno già iniziando a mostrarsi nella coalizione di Trump, apparse prima ancora del suo insediamento. Verso la fine dell’anno scorso, si è formata una sgradevole spaccatura tra chi vuole misure restrittive sull’immigrazione, la componente «America First», da un lato e la fascia di miliardari che invece sostiene il visto H-1B [il permesso di lavoro per lavoratori stranieri, ndt] rappresentata da persone come Vivek Ramaswamy (ora scomunicato per aver insultato i lavoratori statunitensi in un tweet ) ed Elon Musk.
Musk in particolare è diventato un punto debole. Dopo aver utilizzato i suoi 277 milioni di dollari versati alla campagna di Trump per insinuarsi nella cerchia ristretta e diventare, come sembra, il nuovo consigliere-portavoce non ufficiale del presidente, ha già pestato i piedi a Trump cercando di silurare all’ultimo minuto un accordo del Congresso sul tetto al debito anticipando Trump stesso. L’influenza smisurata di Musk nel movimento a cui si è unito solo sei mesi fa ha rapidamente irritato personaggi di lunga data del «Maga» come Steve Bannon, che ha giurato di far «cacciare Musk» e si è lamentato del fatto che la politica degli Stati uniti sia stata plasmata dalle «persone più razziste sulla terra, i bianchi sudafricani», riferendosi a Musk e ad altri capitalisti tecnologici sudafricani.
La tolleranza di Trump e del suo team per Musk sembrava esaurirsi già una settimana prima delle elezioni. Da allora, Trump ha poi dovuto negare di aver «ceduto la presidenza a Musk», e ora il miliardario tecnologico ha succhiato ossigeno vitale dal grande giorno del presidente, rubandogli la scena con quella che un importante suprematista bianco ha celebrato come un saluto «tipo ‘Sieg Heil’». Il fatto che crepe come queste si fossero aperte prima ancora che Trump fosse entrato in carica è un segnale particolarmente inquietante per il presidente, che si è rivolto ai repubblicani predicando l’unità se si vuole aver successo.
La gestione delle crisi
Un’altra potenziale vulnerabilità per il mondo Trump è che il presidente sta ereditando diverse potenziali crisi.
Sul fronte interno, Trump eredita le ricadute di diversi storici disastri naturali, tra cui i continui incendi distruttivi in California, lo stato che contribuisce al 14% del Pil del paese: lo stato ha ora bisogno di aiuti vitali, che Trump e i suoi alleati hanno minacciato di condizionare a precise contropartite, e che uno dei suoi ordini esecutivi anti-immigrazione ha già messo a repentaglio. Per non parlare delle innumerevoli altre emergenze che potrebbero presentarsi durante il suo mandato, dall’inevitabile prossima serie di disastri climatici al crollo finanziario. Vale la pena ricordare che, mentre il suo predecessore potrebbe aver agito in modo disastroso per reagire ai disastri, Trump non è stato così bravo nemmeno in una crisi, che si tratti della risposta pasticciata all’uragano Maria a Porto Rico o della caotica e mortale risposta alla pandemia che lo ha aiutato a perdere le elezioni cinque anni fa.
Guardando oltre gli Stati uniti, il cessate il fuoco di Gaza potrebbe aver tolto un grosso grattacapo politico dalla testa di Trump per ora, ma con Benajmin Netanyahu che minaccia di far ripartire la guerra tra qualche settimana (e Trump che apparentemente gli dà il sostegno per farlo), l’orrore a Gaza e tutto ciò che ne consegue potrebbe benissimo finire per trasferirsi dal disastro di Joe Biden a quello di Trump. Lo stesso vale per una possibile guerra con l’Iran in cui Israele e la sua lobby statunitense stanno pianificando di spingere Trump.
Nel frattempo, in Ucraina, se i negoziati annunciati falliranno e la Russia continuerà a premere sul campo di battaglia per raggiungere i propri obiettivi con mezzi militari, Trump si troverà nella posizione di accettare quella che verrebbe inquadrata come una sconfitta degli Stati uniti o di intensificare il coinvolgimento militare nella guerra e di far sprofondare di nuovo gli americani in una crisi tinta di nucleare. Ognuna di queste azioni non solo annullerebbe il desiderio dichiarato a gran voce di lasciare un’eredità da «pacificatore», ma rappresenterebbe anche un grave tradimento di un’opinione pubblica stanca della guerra che lo ha portato al potere, avvelenando l’agenda interna di Trump allo stesso modo in cui è successo a Biden.
Nel frattempo, nessuno nel suo entourage sembra preoccuparsi del fatto che anche se il presidente rispettasse quell’agenda di pace, si risolverebbe ben poco il problema fondamentale che lo ha portato alla Casa Bianca: la rabbia popolare per l’aumento vertiginoso del costo della vita. La situazione, in effetti, potrebbe peggiorare.
I servizi ai lavoratori
Uno dei problemi di Trump, le enormi tariffe generalizzate sulle importazioni dai due paesi più vicini agli Stati uniti e dalla Cina, è destinato a rendere tutto più costoso, dalle verdure alla birra, dai giocattoli alle automobili e a una serie di altri beni di consumo. Allo stesso tempo, il fulcro del suo programma interno è un altro taglio delle tasse per i ricchi, che i repubblicani del Congresso intendono pagare prendendo a calci programmi di sicurezza come Medicare e Medicaid. Questa auto-contraddizione interna è in realtà già iniziata, con una delle vittime dell’ordine esecutivo che ha annullato le «pratiche impopolari, inflazionistiche, illegali e radicali» della direttiva di Biden finalizzata ad abbassare i costi dei farmaci da prescrizione.
Trump e il suo team scommettono che un’ulteriore liberalizzazione della produzione di combustibili fossili costituirà il trucco per abbassare i prezzi. Ma gli Stati uniti erano già il più grande produttore di combustibili fossili nella storia dell’umanità quando i prezzi stavano impazzendo sotto Biden, e molti dei fattori trainanti il costo della vita, come l’impennata degli alloggi e le esorbitanti spese mediche, non sono dovuti alla mancanza di carburante, ma sono guidati dall’avidità.
Non è chiaro se Trump andrà oltre le deludenti mosse del suo predecessore democratico nel controllare quell’avidità. Forse la contraddizione fondamentale al centro della futura presidenza è aver condotto una campagna da campione dei lavoratori contro la palude di Washington, mentre ora ha consegnato le redini del governo a un gruppo di figure provenienti da quella stessa palude, vale a dire i tredici miliardari da record nominati nel suo gabinetto e i numerosi altri a cui ha regalato posti in prima fila alla sua inaugurazione. La mitraglia di ordini esecutivi è servita finora a sostenere gli obiettivi dello stesso Progetto 2025 filo corporations che però egli pensava fosse così politicamente tossico da prenderne le distanze durante la campagna.
Si badi bene, Trump sta effettivamente facendo tutto questo, e sponsorizza nuovi livelli incredibili di corruzione, mentre un recente sondaggio, finalizzato a dimostrare il sostegno pubblico ad alcune delle opinioni di Trump, mostra anche quanto la maggioranza degli americani, di tutti i partiti, ritiene che il sistema politico statunitense sia inceppato ed esista solo per avvantaggiare i ricchi e l’élite. Si tratta di una possibile importante vulnerabilità per Trump nel momento in cui si muove in direzione di un’agenda plutocratica.
Non date a Trump ciò che vuole
Infine, sebbene intorno a Trump si dispensino perle di saggezza come quella che vuole il suo primo mandato incrinato da sabotatori e da un establishment vendicativo, si tratta di un abbellimento della realtà. Trump e il suo team sono stati spesso i loro peggiori nemici, dicendo e facendo cose incendiarie e fomentando inutilmente polemiche in modi che hanno ostacolato la sua presidenza e minato il suo sostegno pubblico. Nonostante il breve flirt con un approccio più ordinato, diversi toni sia della campagna elettorale che delle ultime settimane, inclusa l’improvvisa inversione a U sul tetto del debito che ha mandato in confusione il suo stesso partito, suggeriscono che molto sia cambiato.
Alla base di tutto questo c’è il fatto che, qualunque cosa possa dire in pubblico, Trump non sta effettivamente entrando in carica con particolari sacche di sostegno pubblico o con un mandato particolarmente impressionante. In fondo ha vinto le elezioni solo con un margine di 1,5 punti, metà del vantaggio del voto popolare repubblicano alle elezioni di medio termine del 2022, una performance che all’epoca era stata considerata un fiasco. Inizia la sua presidenza con un indice di gradimento più alto rispetto al 2017, ma comunque ben al di sotto del sostegno della maggioranza con cui i presidenti tendono a iniziare i loro mandati, e ben al di sotto di quello di cui Biden ha goduto quando si è insediato nel 2021. Gli ascolti televisivi per l’inaugurazione di Trump sono stati molto più bassi sia rispetto al suo primo mandato che a quelli di quattro anni fa.
Questo non è proprio indice di un pubblico del tutto trumpizzato, pronto a concedergli un credito a fondo perduto per la serie infinita di scandali e controversie. Sembra più un elettorato esausto che è uscito insoddisfatto della politica e che ha lasciato il campo a Trump e ai repubblicani nella vana speranza che avrebbero almeno fatto un lavoro migliore degli altri, ma che potrebbe essere pronto a sanzionarli in caso contrario.
Si fa presto a dimenticare oggi che Biden e i suoi sono arrivati al potere anche cavalcando l’onda di un mandato ambiguo (ma sostanzialmente più ampio), con le ambizioni di una presidenza populista che avrebbe rimodellato il paese, lo avrebbe tenuto fuori dalle guerre all’estero e avrebbe conquistato il futuro politico procedendo saldamente e velocemente sul proprio programma. Con addirittura solidi indici di approvazione dopo cento giorni.
Poi tutto è crollato, la presidenza di Biden si è piegata e spezzata sotto le sue contraddizioni interne, avendo consegnato il governo ai rappresentanti delle corporations, lottato per gestire e controllare risicate maggioranze, perseguito un programma di elargizioni aziendali a cascata e tagli alla rete di sicurezza sociale, approfittando del coinvolgimento in vari conflitti come un’esca troppo forte per resistere. Non è stata la prima campagna presidenziale nella storia degli Stati uniti a vincere e a far sembrare scontato che sarà sempre in ascesa per poi crollare rapidamente, e sicuramente non sarà l’ultima.
Ci sono tutte le possibilità che niente di tutto questo si avveri e che Trump e i suoi evitino queste insidie e ottengano un successo politico che va oltre i loro sogni più smodati. Ma è almeno altrettanto probabile che le vulnerabilità e le contraddizioni interne del movimento Trump creino aperture che un’opposizione ben organizzata e strategica può sfruttare, proprio come i continui errori politici di Biden hanno fatto con la sua presidenza. Trump farà senza dubbio molti danni nei prossimi quattro anni. Ma immaginarlo come un conquistatore trionfante e indomito significherebbe fare esattamente ciò che desidera.
*Branko Marcetic è un redattore di Jacobin e autore di Yesterday’s Man: The Case Against Joe Biden. Questo articolo è uscito su JacobinMag. La traduzione è a cura della redazione.