Il romanzo è un intenso legame familiare scandito dall’unico linguaggio possibile: quello della musica
di Elena Torre
«Tu invece puoi essere strana con me e risparmiarti questa seccatura col resto del mondo,
tanto so tenerlo, io, un segreto. Ma ora basta, scendo a suonare. Tu sei fuori e io devo fare
qualcosa al più presto, altrimenti scomparirò palmo a palmo, come un ghiacciaio.»
ESTRATTO
Il fatto è che quando non sei a casa mi sembra di non esistere, come adesso.
La mamma dice che quando mi capitano cose di questo genere devo scriverle qui, oppure fare gli esercizi. Mi ha regalato questo diario con la copertina nera e le pagine beige, ha detto è il tuo migliore amico, devi usarlo il più spesso possibile. Come se lei avesse mai preso la sua amica Palmira, la nostra vicina di casa, e si fosse messa a scriverle addosso.
In ogni caso, se proprio devo scriverlo, lo scrivo a te, altrimenti mi sembrerebbe di prendere tutte le mie parole e buttarle nel cestino, per nessuno.
Gli esercizi li ho fatti prima di cena, due volte di seguito. Piegamenti sulle braccia, salto della corda, addominali, pesi. C’è una tabella attaccata alla parete dentro una busta di plastica, ma ormai li conosco tutti a memoria, non la guardo più (non è vero, la guardo lo stesso, visto che c’è). La mamma dice che mi fa bene, serve a liberare le energie in eccesso, ma a me sembra solo che il mio corpo stia diventando sempre più duro, e non mi piace. Il professor Perrotti ha detto alla mamma che un’attività fisica così intensa è nociva per un pianista. Lo sforzo potrebbe essere deleterio per l’elasticità delle dita e del polso, è un’assurdità rischiare la carriera per farsi i muscoli. Non penserà mica che possa diventare un atleta a ventitré anni? Se proprio deve fare sport, dice, che vada a nuotare. Ma la mamma non gli dà retta. Secondo lei al mio livello un po’ di movimento non può fare alcun male. Lui insegnerà pure al conservatorio, dice, ma anch’io sono una musicista. So di cosa parlo. E in ogni caso non si fida a mandarmi in piscina da solo.
Così ultimamente, mentre suono, mi capita di sentire questo muscolo nuovo che mi sfiora le costole e ho quasi l’impressione che sia il bicipite di un altro. Con tutta questa massa, poi, occupo più spazio sul panchetto e tu per forza di cose mi stai più lontana quando suoniamo insieme, o meglio, sei più lontana dalle mie ossa. Oltretutto ho paura di farti male, come quand’eravamo piccoli e ti abbracciavo. Tu dicevi fuochino quando stavo stringendo troppo e acqua quando era okay.
Il tuo corpo è morbido, di questo sono sicuro. Lo so da sempre, da quando la mamma riempiva la tinozza dei panni dentro il vano della doccia e ci metteva lì dentro a fare il bagno, incastrati, coperti di schiuma luccicante. Anche i tuoi capelli sono morbidi, un bosco fitto di sole che ti protegge la schiena. Giocavamo al parrucchiere e io ti facevo la treccia mentre tu la facevi alla tua bambola, quella con i capelli biondi come i nostri a cui dicevi che era la nostra terza gemella. Restavamo a mollo così a lungo che quando la mamma veniva a tirarci fuori avevamo le mani vizze, grinzose, e tu dicevi è passato troppo tempo, mamma, ormai siamo vecchi.
SINOSSI
Non si è gemelli solo nel corpo. A volte lo si è anche nel modo in cui ci percepiscono gli altri. Può capitare, allora, che Michele e Francesca si scambino inavvertitamente un amore, o che un gesto dell’uno completi il pensiero dell’altra. In questa lettera lunga un’estate – quella che conduce entrambi al diploma di pianoforte e alla fine del conservatorio – notte dopo notte Michele, in morbosa attesa del rientro della sorella, risale la storia della sua famiglia con l’istinto e la fatica del salmone, in cerca del significato del suo nome. Lo fa con il linguaggio semplice e scarnificato di chi è venuto al mondo trecento secondi prima di piangere ed è rimasto in apnea tutta la vita, indietro, strano, chino sui tasti. Al posto delle rapide, incontra i segreti del padre, presenza luminosa ormai lontana, imprendibile. Al posto degli orsi, chiunque cerchi di strapparlo al suo viaggio per riportarlo al presente: un tenace insegnante di musica che non dà tregua al suo talento, distratto solo dall’incanto per sua moglie Hanna; due genitori impegnati a dissimulare non si sa quale anacronistica vergogna; le dolenti relazioni di Francesca mescolate alle sue, fuse fino a renderli un unico oggetto di desiderio. Sullo sfondo, una Viareggio che si apre sulla costa come un sorriso d’Alpi Apuane, tuttavia sfigurato dalla strage ferroviaria del 29 giugno 2009 che ha cancellato parte di una storica mappa di affetti per tutta la famiglia.
I salmoni aspettano agosto è il racconto a ritroso che conduce a una decisione definitiva – “il momento di distacco dalla molteplicità dei possibili”, per dirla come Calvino –, la storia di un amore che continuamente si sdoppia sotto le mani di Michele, aggrappate per l’ultima volta a quelle di Francesca, per sempre a un pianoforte.
L’autrice: Elena Panzera è nata nel 1991 a Viareggio. È laureata in Lettere e ha un master in Editoria e Comunicazione. Dopo aver lavorato per alcuni anni come copywriter, editor e traduttrice, attualmente lavora in una libreria indipendente. Scrive di letteratura, poesia e politica sul «Tascabile», «Altri animali», «Interno Poesia», «Minima&Moralia» e altre riviste online. Nel 2022 è tra i fondatori di «Linoleum», progetto letterario dedicato alla narrativa breve. I salmoni aspettano agosto è il suo primo romanzo.
Info: pp. 144, € 16, ISBN 978-88-6004-711-3