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di Giulia Assogna
Dopo la morte di Andrea Papi, amministrazioni e ambientalisti discutono dell’ordinanza di abbattimento, ora sospesa dal Tar di Trento. Quella di Jj4 è la prima aggressione letale di un orso in Italia negli ultimi 150 anni. Allo studio anche l’eventuale trasferimento di massa di circa 50 esemplari, mentre il ministero prevede l’istituzione di un tavolo per gestire la sfida della convivenza con i grandi predatori
È Jj4, anche nota come Gaia, l’orsa responsabile dell’uccisione del runner trentino Andrea Papi, 26 anni, aggredito nei boschi sopra Caldes lo scorso 5 aprile. Lo ha confermato la procura della Repubblica di Trento sulla base delle analisi genetiche effettuate nei laboratori della Fondazione Edmund Mach. E ora amministrazioni e ambientalisti discutono del suo futuro.
Il Tar di Trento ha sospeso l’ordinanza di abbattimento dell’orsa ‘Jj4‘, lo riferisce l’agenzia Agi secondo quanto appreso da fonti legali della Lega Anti Vivisezione (Lav Italia). Come riferisce la Lav, rappresentata dall’avvocato Linzola, il Tar ha accolto le motivazioni formulate dalla stessa Lega.
L’orsa Ji4 – nata in Trentino da due esemplari provenienti dalla Slovenia, Joze e Jurka, rilasciati tra il 2000 e il 2001, nell’ambito del progetto “Life Ursus” – era già stata coinvolta in un altro episodio di aggressione, a giugno 2020, sul monte Peller, in Trentino. A incontrarsi su un percorso nei boschi erano stati quella volta l’orsa, con al seguito i suoi cuccioli, e il cacciatore Fabio Misseroni con il figlio Christian. I due erano rimasti feriti, il padre aveva riportato una doppia frattura a una gamba. La Provincia autonoma di Trento ne aveva chiesto l’abbattimento, ma l’ordinanza era stata annullata dal Tar su richiesta delle associazioni animaliste. Dopo la morte di Andrea Papi, ad aprile 2023, si torna a parlare del suo destino e della gestione degli orsi problematici.
“Quanto accaduto in Trentino-Alto-Adige è un fatto preoccupante. Esprimiamo la nostra vicinanza sia alla famiglia del giovane Andrea Papi, originario di Caldes in Val di Sole, aggredito e ucciso dall’orso, sia alla comunità locale trentina. È chiaro che il destino di questo orso sia ormai segnato, così come è evidente che in Trentino-Alto-Adige ci sia un problema di gestione di questi plantigradi e di convivenza con la comunità locale. Nel caso di orsi problematici o eccessivamente confidenti, il Pacobace (piano d’azione interregionale per la tutela dell’orso bruno sulle alpi centro-orientali, ndr) prevede infatti due soluzioni estreme: la prima, indicata con la lettera J, prevede la cattura e la detenzione permanente dell’animale. La seconda opzione, indicata con la lettera K, prevede l’abbattimento dell’orso. Scelta quest’ultima che sarà adottata per Jj4″, così commentano Antonio Nicoletti, responsabile nazionale aree protette e biodiversità di Legambiente, e Andrea Pugliese, presidente di Legambiente Trento.
Il presidente della Provincia, Maurizio Fugatti ha firmato l’ordinanza urgente per l’abbattimento. Jj4 ha però il radiocollare scarico e i tempi di cattura non sono facilmente prevedibili.
La posizione delle associazioni
Secondo le ultime rilevazioni, oggi l’orsa pesa circa 120 kg e misura 1 metro e 90 centimetri. La Lav chiede che sia portata in “un luogo sicuro”, invece di abbatterla, un rifugio che già sarebbe a disposizione per accoglierla. “La proposta – spiegano in una nota gli animalisti – è già stata inviata al presidente della Provincia di Trento e al ministro dell’Ambiente. Depositeremo ricorso al Tar per impedire l’abbattimento dell’orsa e chiediamo che l’amministrazione locale si attivi per garantire la pacifica convivenza tra umani e plantigradi”.
Contro la decisione dell’esecutivo provinciale è intervenuto anche l’Ente nazionale protezione animali (Enpa), precisando come l’ufficio legale dell’associazione segua “con estrema preoccupazione l’evoluzione della vicenda ed è pronto a ricorrere in sede giudiziaria contro ogni decisione che possa violare la legalità”. La Lega antivivisezionista denuncia il silenzio dell’opposizione in Trentino e il “fallimento totale della gestione dei grandi carnivori”; Centropercentoanimalisti parla di una “sentenza emessa troppo in fretta”. L’Organizzazione internazionale protezione animali (Oipa) fa sapere, tramite una nota, che “amministratori coscienziosi non dovrebbero essere mossi da spirito di rappresaglia, da spirito di vendetta”. Per Angelo Bonelli di Alleanza Verdi e Sinistra, “abbiamo incendiato e cementificato boschi, sottratto spazi al mondo animale e ora vogliamo che i boschi diventino la nostra dependance urbana”. Intanto il presidente del Partito animalista europeo, Stefano Fuccelli, sottolinea che Fugatti “è stato sempre contrario al progetto ‘Life Ursus’ ostacolandolo in ogni modo”.
Legambiente ricorda che questo sarebbe il primo caso registrato nel nostro Paese, da 150 anni a questa parte, di un’aggressione letale di un orso, a fronte di 7 aggressioni registrate nell’area alpina italiana negli ultimi anni e qualche decina di contatti diretti tra il plantigrado e l’uomo. La tragicità dell’evento non deve far dimenticare i rischi insiti nella natura.
Inoltre, riguardo le affermazioni del presidente Fugatti sulla non sostenibilità del progetto “Life Ursus”, iniziato nel 1996, l’associazione ambientalista ricorda che il progetto in questione che ha previsto la reintroduzione dell’orso bruno nelle aree del Brenta (con dieci esemplari), dov’era in via di estinzione, è stata un’iniziativa importante dal punto di vista ecologico, che ha riportato una specie iconica sulle Alpi Centrali, e ha avuto anche importanti ricadute sull’immagine del territorio e sull’attrattività turistica. Sicuramente quanto accaduto in Trentino apre anche una riflessione sul futuro del progetto, che però non deve essere sminuito. Al presidente Fugatti, Legambiente ricorda che quello che è mancato in Trentino-Alto Adige, negli ultimi quindici anni, è una campagna di comunicazione e informazione che potesse aiutare a costruire una convivenza pacifica e a gestire davvero le situazioni problematiche. Si è preferito invece costruire un clima di allarme e contrapposizione.
Nel frattempo, a Roma è avvenuto l’incontro fra il ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, e il presidente della Provincia, Maurizio Fugatti. Oltre che dell’abbattimento di Jj4, si è discusso del possibile trasferimento di massa di circa metà degli orsi presenti in altre aree europee. Lo scopo del trasferimento sarebbe quello di mantenere un numero sostenibile di esemplari sul territorio trentino. A conclusione dell’incontro si è stabilito di istituire un tavolo di confronto tecnico tra il ministero dell’Ambiente – che su delega del ministro Pichetto sarà rappresentato dal sottosegretario Barbaro – Ispra, Regione e Provincia autonoma di Trento, al fine di valutare in tempi rapidi ogni azione utile a proseguire l’originario progetto di reintroduzione dell’orso nell’arco alpino, intervenendo sulle criticità che nel tempo si sono verificate. La Provincia autonoma di Trento comunque potrà decidere, per gli esemplari aggressivi, anche l’abbattimento.
“La grande sfida da affrontare – ricorda Legambiente – è il miglioramento della gestione e la convivenza con l’orso, e lo si può fare solo con il supporto della scienza e coinvolgendo in uno step successivo anche le comunità locali. Solo così si potrà evitare che si dia il via ad una nuova caccia alle streghe che abbia per protagonista l’orso, rischiando di far crescere e aumentare la paura nelle comunità locali e tra i turisti”.
Intanto Ispra ha dato parere positivo anche all’abbattimento dell’esemplare Mj5, maschio di 18 anni che il 5 marzo era stato responsabile di un’altra aggressione in Valle di Rabbi.
Il commento dell’esperto
Antonio Nicoletti, responsabile nazionale aree protette e biodiversità Legambiente
La Provincia di Trento, fin dal 2004, nella fase conclusiva del progetto “Life Ursus”, ha avocato a sé la gestione dell’orso e del progetto sostituendosi al Parco regionale Adamello Brenta. Una scelta sbagliata per tante ragioni, in primis perché all’approccio scientifico del Parco si è sostituito quello prettamente politico dell’amministrazione provinciale, che ha cominciato a decidere senza il filtro della conoscenza scientifica che il gruppo di lavoro del “Life Ursus” avrebbe garantito. Ma soprattutto perché non si è continuato a investire sulla prevenzione e sulla buona informazione verso i fruitori del territorio, immaginando l’orso buono solo come brand turistico e pericoloso appena predava un animale. In tutti questi anni, la Provincia ha volontariamente scelto il conflitto con i tecnici e il ministero e ha tenuto una linea di conflitto perenne con l’Ispra e le associazioni, alimentando due opposti sentimenti: da una parte chi negava persino i rischi, minimizzando gli allarmi, e dall’altra chi negava la possibilità di una coesistenza tra l’orso e il territorio trentino, che si è dimostrato essere quello più adatto alla sua reintroduzione. Bisogna uscire dal cul de sac in cui ci troviamo e dov’è stato ficcato l’inconsapevole orso. Riportando in primo piano la conoscenza scientifica che deve alimentare le scelte politiche e non il contrario, non creare inutili aspettative sull’ipotetico trasloco di decine di orsi in altri territori. Ridare serenità al territorio e alle comunità ferite dagli eventi, informando seriamente sui rischi senza alimentare odio verso gli animali e riportando l’orso al centro del percorso tecnico gestionale di una specie che ha le sue esigenze e che non è un brand turistico territoriale né un peluche. La coesistenza è possibile a condizione che anche noi umani decidiamo di adattarci alle esigenze dei selvatici.