Gideon Levy, Haaretz, Israele
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Così ha scritto la segretaria del Partito laburista israeliano, Merav Michaeli, pochi minuti dopo che Israele aveva scatenato l’ennesima aggressione criminale sulla Striscia di Gaza e un attimo prima dell’uccisione del primo – ma non ultimo – bambino palestinese: “I cittadini d’Israele meritano di vivere in sicurezza. Nessuno stato sovrano accetterebbe che un’organizzazione terroristica mettesse in stato d’assedio i suoi abitanti. Sostengo le forze di sicurezza”.
L’ex premier Benjamin Netanyahu non aveva ancora reagito, il leader dell’estrema destra Itamar Ben-Gvir non si era ancora svegliato, il generale Yoav Gallant non aveva ancora minacciato di “decapitare il serpente”, cioè Hamas, che già la leader della sinistra sionista si era allineata alla destra, elogiando i militari e sostenendo una guerra che non era nemmeno cominciata. È stata addirittura più veloce di Shimon Peres.
A Michaeli non si può perdonare la sua incredibile mancanza di consapevolezza: dopo quattro giorni di blocco parziale (autoproclamato) nel sud del paese, la leader della sinistra dice che nessuno stato accetterebbe un “assedio”. Senza battere ciglio, nessuno stato. Un esponente del governo responsabile di un orribile assedio che dura da 16 anni osa scandalizzarsi per una chiusura parziale volontaria di due minuti. Invece di sostenere una linea di moderazione (le elezioni si avvicinano), il Partito laburista ha sostenuto nuovamente una guerra assurda e deliberata, come hanno fatto tutti i suoi predecessori.
La pistola più veloce del west
La sinistra sionista ridefinisce nuovamente, al ribasso, il concetto di doppio standard. Forse almeno, adesso, la verità sarà chiara per molti sostenitori del centrosinistra: non c’è alcuna differenza reale con la destra. Israele non può nemmeno fingere di non aver questa guerra – che ha ricevuto alla nascita il nome infantile di operazione Breaking dawn (Sorgere dell’alba)– o di non avere avuto altra scelta. Questa volta ha perfino rinunciato a usare le minacce ed è andato dritto al punto: l’arresto di un dirigente della Jihad islamica in Cisgiordania, sapendo in anticipo che questo avrebbe provocato una dura reazione; poi l’assassinio di un alto comandante nella Striscia di Gaza, sapendo che questo avrebbe segnato un punto di non ritorno. È bastato questo perché Israele potesse dirsi impegnata in una “guerra difensiva”, una guerra giusta di uno stato a cui tutto è permesso. Un paese che ama la pace e vuole solo la sicurezza dei suoi abitanti: un vero innocente. Lo stato che ha tutto, tranne la deterrenza: niente o nessuno può dissuadere Israele dall’attaccare Gaza.
Ma questa volta il governo è quello del “cambiamento e della guarigione”. Quindici mesi dopo l’ultimo gioiello, l’operazione “Guardiano delle mura”, l’alba è sorta. Cinque settimane dopo il suo insediamento come primo ministro, Yair Lapid, la pistola più veloce del west, stava già mandando l’esercito in guerra. Mai nella storia di Israele un primo ministro ha avuto tanta fretta di uccidere.
Tutti i precedenti di Netanyahu impallidiscono di fronte al crimine di aver lanciato una guerra inutile che ha portato solo un ulteriore spargimento di sangue, perlopiù palestinese. E tutti i fallimenti di Netanyahu impallidiscono di fronte alla sua relativa moderazione nell’uso della forza militare quando era in carica. Continuate a scandalizzarvi per i vari regali ricevuti da Netanyahu quando era premier: almeno lui non deve dimostrare le sue credenziali di macho, come invece ora fa Lapid.
È vero che gli analisti politici, il club dei soliti vecchi politici e i sindaci del sud di Israele hanno insistito per fare questa guerra, come fanno sempre, ma non c’era mai stata una capitolazione così rapida ai loro capricci per lanciare una guerra. Ora, quando solo pochi mesi separano un attacco a Gaza da un altro, non ha senso nemmeno chiedersi quali siano gli obiettivi. Non ci sono obiettivi, se non la voglia di dimostrare la propria potenza.
Se ci fossero stati degli obiettivi, e se la pace fosse uno di questi, e se questo fosse stato un governo di cambiamento, allora Lapid avrebbe dato a Israele una lezione di moderazione; e se Lapid fosse stato anche uno statista coraggioso, avrebbe portato al cambiamento riconoscendo Hamas, revocando l’assedio e facendo uno sforzo per incontrare la leadership di Gaza. Qualsiasi cosa in meno è una continuazione diretta delle politiche di tutti i governi israeliani, nel cui dna ci sono guerre senza fondamento. Ecco perché non c’è bisogno di un governo del cambiamento. Ma ricordatevi chi ha cominciato questa guerra e chi l’ha sostenuta.
(Traduzione di Federico Ferrone)
Questo articolo è stato pubblicato dal quotidiano israeliano Haaretz – Israele