L’Intervista
C.V. –Giovanni Balderi, scultore, hai modelli a cui ti ispiri per realizzare le tue opere? Hai riferimenti ideali e artistici?
G.B. – Non mi rivedo in nessun ruolo compiuto, né ho mai sposato nessuna corrente di pensiero politica, sociale o culturale, qualunque cosa che comunque potesse rinchiudere lo spirito e l’idea che ho della vita.
Non ho mai capito se è una fuga o una ricerca, oppure entrambe le cose contemporaneamente.
Per me la scultura è prima di tutto un “Mestiere”, un lavoro scelto a 14 anni, senza avere la minima idea, del “cavallo” che andavo a portare via dalla stalla. Un compagno di vita duro da domare, da crescere e cavalcare, impossibile da controllare del tutto, ma capace di farmi volare alto e con cui superare ostacoli impensabili, capace di salire come un’aquila e precipitare negli abissi come una balena bianca. Il viaggio che, inconsapevolmente, andavo ad affrontare è iniziato con un marmo una subbia e una stella da seguire. La mappa era ed è nascosta sotto gli zoccoli del cavallo, e sulla schiena della balena che emerge di quando in quando, senza sapere ne dove né come, ma sempre e solo dentro le sculture.
C.V. – Parlaci della tua idea di arte, allora.
G.B. – L’arte quella vera non ha maschere né catene. Si può nascondere o fraintendere nel tempo, può essere strattonata svenduta o calpestata, ma esiste oltre noi.
È quell’intelligenza che abbiamo in prestito, e attraverso di noi si manifesta e ci parla. Ci impressiona, ci conduce in luoghi sconosciuti e senza tempo che riscopriamo nei musei.
C.V. – Ci sarà però qualche artista, qualche ambiente o avvenimento che in qualche modo ti ha ispirato e influenzato.
G.B. – Sicuramente gli artisti che da giovane ho incontrato, mentre facevo la gavetta nelle botteghe di Pietrasanta, mi hanno conquistato. Era gente vera, che annaspava con la vita, che s’ incasinava, che faceva di tutto per scolpire la sua visione. Avevano una luce negli occhi. Davano un significato diverso ai soldi, al tempo e alla vita. Sentivo che cercavano qualcosa di magico che abitava dentro di loro, erano dei sognatori.
Attraverso il loro lavoro la potevi respirare questa magia. Anche quando eri tu a realizzare l’opera, ed eri solo un tramite, uno strumento attivo come un violino, capace di vibrare e trasferire quell’energia plastica sul marmo.
La padronanza tecnica è indispensabile per essere veramente liberi e consapevoli della scultura e dei suoi potenziali espressivi, purché tu non diventi prigioniero di un virtuosismo vizioso e narcisista. La tecnica è un mezzo e non un fine. Mi guadagnavo da vivere mettendo al servizio la mia tecnica, per tradurre qualcosa che abitava nella mente e nell’anima di un’ Artista, di solito incapace di scolpire il marmo.
La differenza tra gli artisti scultori e gli artisti generici, diciamo, la coglievi subito… Con gli scultori non potevi intervenire in alcun modo sul linguaggio volumetrico, veicolo espressivo dell’ opera, mentre i più in voga e di “successo”, a seconda dell’ assistente cambiavano timbro tono colore e forme, spesso anche idea. Ecco a volte molte opere sono il frutto di un’orgia di gente dove ognuno mette del suo.
C.V. – Ci sono dunque una categoria di scultori veri e una di pensatori d’arte senza tecnica?
G.B. – Gli scultori veri e capaci, erano umili e sempre presenti alle finiture: passaggi importanti ad ogni movimento di volume, di linea e luce. Anche se non lavoravano erano dentro la loro opera in ogni respiro.
Da questi rari maestri ho capito molte cose, senza doverci parlare troppo: avevano una voce fatta di forme, silenziosa ma potente e con una forte presenza che chiedeva di manifestarsi attraverso il lavoro, la materia, una sinergia fatta di ruoli ben distinti.
C.V. – Cosa ami del tuo lavoro?
G.B. – Quello che ho amato e che amo, è questa magia a volte inspiegabile a parole.
Il marmo è un materiale nobile e vivo, ha una sua forza ogni blocco ha un suo carattere e delle peculiarità sempre diverse.
C.V. – Come ti approcci di fronte alla realizzazione di una tua opera?
G.B. – Non realizzo mai bozzetti preparatori, ogni opera voglio che sia un viaggio unico…Si faticoso ma molto più interessante, senza doversi ripetere e forzare, piegando la materia all’idea.
Durante il lavoro, si crea quella magia e quello stato d’animo necessario per creare forme nuove, seguendo ciecamente l’intuizione. Forse il salto nel buio è la parte più bella. Aiuta a trovare forme nuove di un pensiero antico.
Credo ci sia qualcosa che chiede solo di essere tradotto e ascoltato, per mostrarsi in infinite forme, bello aver tempo per osservare, scolpire tagliare sbozzare subbiare, ogni fase ha una sua magia
C.V. – Cosa pensi del mondo dell’arte contemporanea? Dove collocheresti i tuoi lavori?
G.B. – Non so dove e come collocarmi oggi come scultore, ma forse non è neanche così importante essere accettati dai galleristi, mi basta vendere quel tanto per restare libero e scegliere un mio ritmo di lavoro, che ritrovo sempre nel luogo più umile, la “bottega” il laboratorio.
Mi ritrovo nell’ essere un artigiano dell’anima riscopro il piacere di essere creativo e libero, ritrovo la voglia di scolpire in una dimensione senza tempo.
Non ho risposte né soluzioni per un mondo che divora tutto e tutti a velocità troppo elevate, mi siedo volentieri fuori tempo e fuori dalla linea produttiva “aziendale”.
Ho voglia di stare in armonia, con me stesso e avere il tempo di ascoltarmi e riflettere.
Faccio poche mostre e più vado avanti, meno ho desiderio di farne.
C.V. – Non corri dietro al successo mediatico e a quello economico?
G.B. – Oggi si corre troppo e male, forse sarebbe meglio cercare di essere più consapevoli, nel godere di quello che abbiamo nel presente, vivendolo con una partecipazione più attenta alla lunghezza delle nostre gambe e delle nostre voglie, che spesso sono indotte e strattonate da strane sirene.
C.V. – Però l’arte è un potentissimo mezzo di comunicazione. Quali sono i tuoi perimetri?
G.B. – Non credo esistano troppi limiti nell’espressione dell’arte, se non nei nostri pensieri, che a volte sono molto più chiusi dei portafogli.
L’arte da sempre è un veicolo molto potente per comunicare, oggi forse è fin troppo inquadrato in compitini fatti bene, pronti per il critico o il mercato.
E’ solo una mia opinione, ma tutto mi sembra un po’ troppo frivolo, dove l’idea la fa da padrona.
Tanta voglia di giocare con le “invenzioni d’effetto ” riducendo l’ Arte a passatempo e ornamento per giardini dei piccoli.
C.V. – Esiste la possibilità di ritrovare valori più solidi al futuro dell’arte?
G.B. – Forse abbiamo perso per strada, quella magia e quel pathos che aveva l’arte fino a qualche decennio fa… Mi sembra che allora ci fosse un linguaggio più capace, rivolto più ad indagare la profondità dell’uomo, e a raggiungere un’intensità espressiva, comunicativa e potente dell’opera, che l’ ego dell’ artista ,e il portafoglio del mercato. In definitiva penso che i valori del passato possano aiutarci a illuminare l’arte del futuro.